Il Convitato di Pietra – Formazione musicale di base quali prospettive

Intervento presentato a Milano il 6 giugno 2017 in occasione dell’incontro “Prospettive per l’AFAM”.

Il titolo dell’intervento volutamente provocatorio sottolinea come venga ahimè considerata l’alfabetizzazione musicale che sebbene rivesta un ruolo preponderante nella formazione del musicista spesso è vista con diffidenza o come perdita di tempo perché l’importante è” saper muovere le dita”. Ma così non è non si può eseguire senza saper leggere la musica, esprimere la ritmica, saper ascoltare e decodificare quanto si ascolta e quanto si va ad eseguire; insomma l’apprendimento del linguaggio musicale e l’esercizio di questo apprendimento in tutte le sue sfaccettature sono la premessa per qualsiasi pratica musicale. Sebbene questa premessa sia una ovvietà, così di fatto non viene considerata, tanto da essere molto spesso una pratica non attuata in molte scuole di musica, ad esempio nelle scuole medie ad indirizzo musicale dove molto spesso a questo apprendimento viene sostituita la pratica della musica d’insieme altrettanto utile ma non sostitutiva dell’apprendimento della lettura ritmica, parlata cantata e tutto il l’insieme delle acquisizioni di Ear training.

La formazione di base per l’alta formazione nella fascia pre accademica è stata sino adesso – e lo sarà ancora per poco – prerogativa dei Conservatori, questo ha garantito che nell’alta formazione accedessero gli studenti in possesso di un elevato grado di alfabetizzazione musicale. Ma tutto ciò a breve non sarà più possibile ecco quindi che una certa preoccupazione per il vuoto che si prospetta c’è e diversi sono gli interrogativi che si pongono: chi si occuperà di questa formazione ? con quali competenze? Diciassette anni di attività ed esperienza – tanti sono quelli trascorsi dall’entrata in vigore della Riforma – con i nuovi programmi di Teoria ritmica e percezione hanno fatto si che molte pratiche si consolidassero e stabilizzassero e adesso chi ne prenderà l’eredità ?

La risposta potrebbe essere i licei musicali, ma siamo sicuri che questi siano tutti ad oggi professionalizzanti e adatti a svolgere questo compito? Il loro numero sul territorio nazionale è adeguato a soddisfare la domanda di accesso ai Conservatori? Per coloro che invece avessero scelto o volessero scegliere un altro tipo di liceo e contemporaneamente intraprendere lo studio di uno strumento e solo successivamente iscriversi ad un Conservatorio, quali scuole potrebbero garantirne una preparazione di qualità? Le scuole civiche e le scuole private (compreso l’insegnamento privato) svolgerebbero il ruolo che hanno all’estero le accademie in Germania e i Conservatori in Francia ?

La domanda di pratica della musica a livello amatoriale è molto alta ma non sempre è alta la qualità dell’insegnamento.

Dall’avvento della riforma si sono attuati importanti cambiamenti nell’insegnamento TRPM con l’introduzione di grandi novità (Ear training, ritmica, Test teoria, dettato polifonico). Il Programma si è notevolmente rivoluzionato rispetto al vetusto teoria e solfeggio, a favore del raggiungimento di una preparazione di base molto più efficace e in linea con le direttive europee. Ammodernamento necessario e sarebbe davvero una grande privazione non prefiggersi di portare avanti quanto fatto .

Nell’Alta Formazione Teoria Ritmica e Percezione e gli insegnamenti ad esso afferenti, proprio perché si reputa sia un apprendimento da assolvere nella fascia pre-accademica, viene relegato ad un ruolo secondario non considerandone invece l’utilità soprattutto per quanto riguarda l’acquisizione di strumenti e pratiche adeguate allo sbocco professionale più frequente che è quello di insegnanti di strumento.

Alla luce delle considerazioni fatte, ciò che si prospetta come soluzione, è necessariamente un nuovo ruolo e funzione della figura del docente di TRPM formatore di altrettanti docenti per la parte riguardante la formazione di base e l’alfabetizzazione musicale. Un lavoro che permetterebbe una maggiore capillarità di alfabetizzazione musicale di livello e qualità, attraverso le nuove figure di docenti sparsi per tutto il territorio. Un’ altra attività potrebbe essere quella di tutoraggio praticata dai docenti di TRPM del Conservatorio ,nelle varie scuole convenzionate con il Conservatorio di riferimento. Siamo un corpo docente di transizione e la riforma è stata fatta a costo zero; sulle nostre spalle è ricaduta la responsabilità di mantenere la nostra grande tradizione musicale e contemporaneamente approntare nuovi piani di studio o meglio – in generale – una nuova concezione della didattica musicale che formi i professionisti della musica che siano concertisti o altro .

Dobbiamo prendere atto che non si formano solo musicisti ma anche fruitori di musica ovvero il pubblico e dobbiamo considerare che c’è troppa discrepanza fra il mondo musicale colto e non.

I Conservatori hanno la pretesa di formare i grandi concertisti ma a quanti sarà dato di praticare il concertismo e quanti ne hanno una reale attitudine ?e invece quanti praticheranno musica per diletto e passione? A volte i cambiamenti possono essere anche occasione di novità positive. Che sia questo il momento ?

Beatrice Campodonico

Armonizzazione dei percorsi in Italia: realtà e ipotesi di lavoro

Gentili Colleghe e Colleghi,

sappiamo bene che la situazione degli studi musicali in Italia è tutt’altro che rosea. Cause insistenti nel sociale e nel costume del nostro Paese, sono alla base di una crisi che tutti viviamo da anni. Occorre riflettere sui percorsi passati, senza falsità, cercando di affrontare questioni a!ncora rimaste senza risposta, per far luce sulla realtà odierna.

La volontà di portare l’educazione musicale nelle scuole di ogni ordine e grado, ribadita dal recente DL 60, l’esigenza di uniformare i percorsi dei Conservatori italiani a quelli delle analoghe istituzioni europee, diedero vita alla 508: ai Conservatori la fascia universitaria degli studi, ai Licei Musicali il compito di far seguito alle SMIM. Un disegno in linea con la tendenza europea ed internazionale. Ma è ovvio che ogni legge inneschi meccanismi economici, amministrativi, sociali, di contenuto. E’ di buon senso pensare che il legislatore debba cercare di prevedere il più possibile il portato successivo alla promulgazione di una norma. Così la partenza da un’analisi più approfondita della realtà, da dati certi, che già nel 1999 si sarebbero dovuti attentamente leggere, avrebbe consentito un iter legislativo diverso e più aderente alle esigenze dell’istruzione musicale i!taliana di quel periodo e degli anni a venire.

La pressante impostazione politica del “costo zero” costituisce senza dubbio il primo vulnus: a tutt’oggi i Licei Musicali sono in numero esiguo per rispondere all’idea di un’istruzione musicale diffusa, e non credo sarà il DL 60 a cambiare le cose. Il primo fondamentale punto su cui dobbiamo continuare a batterci è la ferma richiesta alla politica affinché realizzi un progetto economico rispetto a Formazione e Cultura: senza investimenti per scuole, orchestre, enti di produzione, ogni idea resta l’anello di una catena mai ricomposta. Nel ’99 questa premessa fu carente, e gli effetti si sentono ancora oggi. L’impatto amministrativo investe la governance dei Conservatori. Un sistema inadeguato che non consente la gestione dinamica dei processi. Non basta l’dea di Direttori Amministrativi manager, come ha detto il Ministro Fedeli recentemente. Con l’attuale normativa, per cui ogni deliberazione ha un iter decisionale tortuoso, mai chiaro ed univoco, non si può pensare che un ruolo diverso risolva qualcosa. Stessa criticità in capo ai Direttori, ostaggi di un sistema carente di agilità e discrezionalità, ingessati da un’elettività rivelatasi spesso paralizzante, varata su principi di democrazia, ma che si traduce sovente nell’immobilismo. Come la farsa a danno dei Presidenti che non percepiscono emolumenti. Lasciare al solo senso civico la responsabilità di enti complessi e problematici, è cosa assai grave e mostra una dubbia concezione della Cosa Pubblica. Insomma, se non c’è un disegno che sostenga Formazione e Cultura a partire da impegni economici, da una vision che investa nell’istruzione, nella creazione e nella difesa degli ambiti produttivi della Cultura e dell’Arte, tutte le p!arole resteranno vane.

L’aspettativa generata dalla 508 tra i docenti di Conservatorio, fu il passaggio da uno status “indistinto” a quello di docenti universitari. Questa equiparazione non si è mai concretizzata, se non in ordine ai titoli rilasciati dai Conservatori. E ciò solo per la Laurea Triennale, poiché ancora non giunge la decisione del Governo sulla messa ad ordinamento dei Bienni, questione su cui chiediamo da anni un provvedimento rapido ed efficace. E poi, decisioni passate di chiudere agli studenti privatisti, hanno innescato contenziosi confluiti nella recente circolare che riapre le porte agli esami di Vecchio Ordinamento per gli esterni. Con ricadute negative sul sistema e sugli studenti, disorientati sul che fare: proseguire il Triennio o uscire dal Conservatorio risolvendo tutto con un paio di esami, evitando anche la frequenza al Biennio?

C’è un altro aspetto che la 508 ha investito: nel Vecchio Ordinamento, gli alti numeri di iscritti si concentravano nei Corsi Inferiori. Quei numeri si assottigliavano man mano che si passava ai Corsi Medi ed ai Corsi Superiori, fisiologica selezione di ogni corso di studi. Dunque, a fronte di un certo corpo docente, i Conservatori hanno dovuto fare i conti con un numero spesso non congruo di iscritti. È ovvio, i contenuti sono importanti, ma la difesa dell’occupazione non è certo di minor rilievo. Così è stato: nascono i discussi corsi pre-accademici, sia per porre rimedio allo scarso numero di Licei Musicali, sia per garantire la piena occupazione dei docenti dei Conservatori. Ed infine – ma soprattutto – per creare quel vivaio di studenti, potenziali utenti dei Trienni, che viene meno nel momento in cui i Licei Musicali non hanno presenza capillare sul territorio e stante una loro oggettiva difficoltà nell’affrontare l’aspetto professionalizzante della musica: difficoltà sociale, a livello di piani di studio, di compatibilità con il percorso di un comune Liceo. Così è calato il livello generale, ed è divenuta pressante l’esigenza di ammettere il numero più alto possibile di studenti nei Conservatori. A questa problematica, sono convinto che il recente DL 60 non fornisca alcuna risposta. La sua impostazione, condivisibile nelle intenzioni di diffondere l’apprendimento delle discipline artistiche nelle scuole di ogni ordine e grado, non ci fa intuire prospettive di riordino del sistema della formazione musicale professionalizzante, ponendo anzi vincoli ai Conservatori circa i Corsi pre-accademici.

   Quanto ai contenuti: forse non si pensò che eliminando dai Conservatori la fascia preuniversitaria degli studi, alcune categorie di docenti avrebbero sofferto in merito al loro impiego. Penso ai colleghi di Teoria, Ritmica e Percezione Musicale, utilizzati nel Vecchio Ordinamento nei “Corsi inferiori”; oggi inseriti nella fascia universitaria, ma con problemi annosi, che non si placano a quasi vent’anni dalla Riforma. E’ vero: la lettura della musica e lo sviluppo della percezione si possono affrontare anche a livelli universitari. Ciò non toglie che le discipline in oggetto restino di base, poiché lo sviluppo delle capacità di lettura e di scrittura della musica, nonché l’affinamento delle facoltà percettive di uno studente, devono essere affrontate all’inizio del percorso di studio e – semmai – successivamente solo potenziate. Purtroppo, ciò oggi non avviene: a fronte di un nocivo ritardo nell’acquisizione degli elementi alla base di un corretto studio della musica, molti studenti giungono in età universitaria senza le sostanziali competenze necessarie per affrontare il Triennio. Inoltre, la non propedeuticità di alcuni insegnamenti rispetto ad altri, varata in omaggio ad una fantomatica libertà didattica, ha dissestato il terreno su cui ci misuriamo. Sono convinto che una considerazione sommaria della particolarità degli studi musicali sia causa di tutto ciò: il diritto agli studi insiste nella parità di ognuno a poterne fruire, non in come gli studi vengono organizzati, fatto tecnico su cui solo gli esperti possono intervenire e disporre. Ricordo – in tal senso – che dopo più di quattro anni, siamo ancora in attesa del CNAM. Diligentemente, il DL 60 lo cita, per poi ricordarci – all’art. 16 – che “il decreto di cui all’articolo 15, comma 4, in mancanza del parere del medesimo Consiglio e’ “perfetto ed efficace”. Con buona pace di chi pensa che il parere tecnico sia ineludibile. La politica deve farsi carico di questa grave omissione.

E così siamo nel vivo del problema. La recente istituzione dei corsi propedeutici – art. 15 del DL 60 -, auspicata dalla Conferenza dei Direttori e che io stesso ho appoggiato, dimostra però che c’è qualcosa di strano in tutto il sistema: invece di trovare soluzioni vere, si rattoppano falle non adeguatamente trattate negli anni scorsi. Sono consapevole che il varo dei propedeutici sia ad oggi l’unico necessario e vitale passo per garantire la sopravvivenza di moltissimi Conservatori, sia in difesa dell’occupazione, sia rispetto ad una preparazione adeguata della futura utenza dei corsi AFAM. Ma allora i Licei Musicali? Dov’è che vuole andare la Politica? Quali risposte concrete darà al nostro settore? Queste risposte sono prevedibili nel DL 60? Purtroppo, non credo. Ritengo invece che le condizioni per dare una via di uscita al sistema siano essenzialmente tre.

Della prima ho detto: l’impegno della politica a non considerare Formazione e Cultura come costo, ma come fruttuoso investimento. Ciò si realizzerà solo allorché qualsivoglia governo ci mostrerà di trovare le risorse per sostenere e far crescere il settore – dall’istruzione alla produzione -, ciò che almeno da vent’anni a questa parte, limitandoci ad esaminare il periodo post-Riforma, non avviene ed anzi va sempre peggiorando. Quanto ai Conservatori: si pensi alla problematica delle utenze non più in capo alle Province; alla recente “no tax area” per gli studenti meno abbienti. Come si spiega lo stanziamento a compenso, di 160 milioni di euro per i prossimi due anni, destinato alle Università, m!entre per i Conservatori si parla solo di spiccioli da dividere tra numerose istituzioni?

La seconda condizione è che la Politica debba farsi garante a livello normativo di una centralizzazione delle scelte, naturalmente dopo aver acquisito i pareri dei protagonisti del sistema. L’autonomia ha il pregio di dare respiro alla formazione, di garantire libertà didattica, di diversificare l’offerta formativa. Ma la deregulation del sistema musicale è ormai arrivata ad un punto insostenibile. Il Vecchio Ordinamento aveva un iter di studi univoco per tutto il Paese, rappresentando un punto di riferimento. È fondamentale convergere sulla necessità di ridisegnare le regole, adattandole ad una realtà profondamente mutata, a partire da un tavolo in cui siano rappresentati tutti gli attori della “filiera”, mirando però ad un vero orientamento nazionale, che riduca le differenze, per giungere ad un’idea condivisa del sistema le cui fila dovranno essere tirate dalla politica. Questa è la delicata responsabilità che ognuno deve assumersi, e la cui sovrintendenza, frutto di un preciso disegno, dovrebbe essere appunto politica. Pensiamo solamente a quanti problemi sorgono in merito al riconoscimento dei crediti formativi: nella gestione del passaggio dal Vecchio al Nuovo Ordinamento, nella valutazione delle competenze pregresse, e di come tale criticità divenga ancor più grave nel caso di un trasferimento tra Conservatori. La centralizzazione delle scelte, una più stringente normativa che unifichi la condotta a livello nazionale sono indispensabili affinché il sistema funzioni. Diversamente – e questo succede oggi – è il caos. A proposito di ciò, lo ribadisco, la politica non può continuare ad ignorare la problematica del CNAM: non è più tollerabile pensare che decisioni prese senza la consultazione di un organo tecnico competente siano “perfette ed efficaci”.

   La terza condizione riguarda i contenuti. Stabilire minuziosamente i livelli di entrata e di uscita da ciascun segmento di studi è condizione affinché il sistema possa funzionare. Dirigo un Conservatorio e sottolineo quindi l’esigenza di un alto livello all’entrata in AFAM. Ed un livello di ingresso ai corsi propedeutici garantito. Ma garantito da chi? Dalle SMIM, dai Licei Musicali? E se dai Licei Musicali, come possiamo pensare che uno studente di 18/19 anni possa giungere a quell’età senza avere la preparazione adeguata per entrare al Triennio? Come possiamo pensare che questi potrà inserirsi poi nel mondo del lavoro? Giungere a 18/19 anni con carenze strumentali significa esser già fuori da aspirazioni professionali. Dunque, la domanda che dobbiamo porci riguarda la direzione da prendere: vogliamo una formazione musicale divulgativa o che investa con forza nel segmento professionalizzante? In questo senso il DL 60 non ci viene in soccorso. Sviluppa l’attenzione per il tema sociale, ma non tocca il secondo aspetto. A quando un pronunciamento concreto sul ruolo dei Conservatori? Sono convinto i due obiettivi debbano essere entrambi perseguiti, ma a patto di una revisione del ruolo dei Licei Musicali. Basterebbe, ad esempio, pensare a due piani di studio, uno ad indirizzo orientativo ed un altro professionalizzante. Mentre quello orientativo resterebbe rivolto alla generica diffusione della cultura musicale, quello professionalizzante andrebbe completamente ridisegnato in accordo con i Conservatori. Trovo oggi nocivo, lo studio al liceo di due strumenti: tale prassi può rientrare solo in una visione orientativa della cultura musicale, ma non certo aiutare – almeno nella maggior parte dei casi – il fattore professionalizzante. Nel Vecchio Ordinamento il secondo strumento era il pianoforte, non con il ruolo di alternativa allo strumento principale, tanto che veniva chiamato “complementare” in quanto unico strumento su cui letteralmente vediamo l’armonia, il contrappunto, su cui si può leggere una partitura. Ometto di parlare dei motivi che hanno suggerito di introdurre nei licei il secondo strumento: è il caso però di rifletterci dando risposte corrette, senza prese in giro. Penso poi alla preparazione teorica. La cosiddetta TAC pretende di insegnare la Composizione a tutti: cosa assolutamente insensata. Se il basso a 4 parti veniva insegnato dopo il corso inferiore, e quello imitato e fugato era prova d’esame di Composizione, come si pretende, con poche ore a settimana, di insegnare ciò a 20/30 studenti contemporaneamente? A discapito peraltro della fondamentale disciplina della lettura, di cui ho già detto e che, per mia diretta esperienza, è drammaticamente trascurata, con risultati spesso disastrosi. Tutto ciò va ripensato, altrimenti il sistema non potrà reggere e produrrà ulteriori sfasci. Non possiamo valutare solo i casi positivi se, per lo più, i risultati stentano a decollare. Dobbiamo invece analizzare gli errori e porvi rimedio. S!enza fraintendimenti e finzioni.

Concludo sperando in una “filiera” positiva, con urgenza di disegnarla attentamente nelle sue connessioni, per affidargli il futuro. L’occasione sarà la redazione del Decreto del Ministro, in ordine al DL 60. Vigileremo con estrema attenzione sulla sua stesura, in assenza di un CNAM che avrebbe titolo ad intervenire nel merito dei contenuti. Ci batteremo affinchè la politica rispetti le parti coinvolte, e che tenga nel debito conto almeno l’orientamento della Conferenza dei Direttori, per dare ascolto e risposte ai maltrattati Conservatori. I nostri giovani coinvolti, nei loro percorsi, dalla rivoluzione digitale, necessitano di una didattica diversa da quella del passato. Ma non dimentichiamo che il sociale è permeato dalla Scuola, e che proprio la Scuola segna un punto fermo nel plasmare i giovani e dunque la Società. Non ignoriamo il fulcro di tutta la questione! Abbassare la guardia sulla serietà dei percorsi è l’anticamera di un futuro che purtroppo già scontiamo in modo grave. Io però resto fiducioso. È lo spirito che ci ha condotti qui. E ciò che stiamo facendo e faremo rappresenta il nostro futuro, e quello dei nostri figli, per i quali dobbiamo sforzarci di pensare un domani migliore. Grazie.

 

Alberto Giraldi

Direttore del Conservatorio «L. Refice» di Frosinone

Arpa: breve analisi sulla situazione didattica nelle scuole di ogni ordine e grado, e spunti di riflessione per la sopravvivenza e la diffusione dello strumento

(RELAZIONE PRESENTATA ALLA CONFERENZA DEI DOCENTI DI CONSERVATORIO IL 6 GIUGNO 2017 PRESSO IL CONSERVATORIO «G. VERDI» DI MILANO DAL COORDINAMENTO NAZIONALE DEI DOCENTI DI ARPA)

 

Si ringraziano per la collaborazione, consultazione e confronto i colleghi docenti di Arpa: Gabriella Bosio, Patrizia Radici, Anna Maria Palombini, Elena Cosentino, Emanuela Degli Esposti, Laura Papeschi, Anna Loro, Francesca Tirale, Ester Gattoni, Nicoletta Sanzin, Alessandra Targa, Tiziana Tornari, Alessia Luise, Antonio Ostuni, Donata Mattei, Lucia Di Sapio, Lucia Bova, Sara Simari, Tiziana Loi, Mariachiara Fiorucci, Isabella Mori, Valentina Meinero, Francesca La Carruba, Alice Belardini, Irene Lucco, Eva Perfetti, Alessandra, Penitenti, Michela Marcacci, Federica Mancini, Patrizia Tassini, Davide Burani, Vania Contu, Simona Carrara, Elena Gorna, Cristiana Passerini, Alice Caradente, Cristina Ghidotti, Eddy De Rossi, Maria Rosa Fogagnolo, Paloma Tironi, Katia Catarci, Nazarena Recchia, Sara Terzano, Valentina Milite, Veronica Pucci, Dabbah Awalon, Elisabetta Ghebbioni, Paola Testa, Adriana Avventino, Antonella Zucchetti, Eva Randazzo, Alessandra Trentin, Roberta Alessandrini, Paloma Tironi, Valerio Nicosia, Rocchina Pace, Valentina Rosso, Chiara Imbriani, Chiara Brun.

 

Premessa

Questo documento è frutto del confronto trasversale dei docenti di Arpa delle Scuole medie a indirizzo musicale, Licei musicali, Conservatori statali di Musica, Istituti Musicali Pareggiati con dati provenienti da tutto il territorio nazionale.

Con questo testo il Coordinamento Nazionale dei docenti di Arpa intende fotografare la situazione attuale per proporre soluzioni volte al miglioramento dell’attuazione della riforma e del Decreto Legislativo del 23 aprile 2017 n. 60 (Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera g), della legge 13 luglio 2015, n. 107, GU Serie Generale n.112 del 16-5-2017 – Suppl. Ordinario n. 23)

Le maggiori criticità emerse da questo confronto riguardano la diffusione sul territorio nazionale di classi con tutti gli strumenti d’orchestra e la mancanza di percorsi formativi coerenti e professionalizzanti.

Dall’analisi che segue appare evidente come si sia snaturato il senso della riforma 508/99 e che anche il recente Decreto Legislativo del 23 aprile 2017 n. 60 (Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività) prosegua nella direzione della divulgazione della musica nelle scuole di ogni ordine e grado, senza garantire la possibilità di un percorso di formazione professionalizzante all’interno della Scuola Pubblica.

Sulla scorta dei dati emersi si può affermare che questa riforma ha parzialmente prodotto dei risultati solo su strumenti come pianoforte, chitarra e percussioni. Il diritto allo studio di altri strumenti musicali sancito dagli articoli 3, 4 e 33 della Costituzione italiana non è tutelato. Allo stato attuale c’è un altissimo rischio di delegare alle scuole private la formazione musicale italiana di strumenti meno popolari come arpa, fagotto, corno, viola, contrabbasso.

 

Analisi dei dati raccolti (tabella 1 allegata)

Dall’analisi dei dati raccolti si nota la poca diffusione dell’Arpa nel territorio nazionale all’interno del sistema delle scuole pubbliche (medie e licei musicali). Ne consegue una bassissima ed esigua affluenza ai conservatori con il risultato di un basso profilo di accesso.

Nel 2017 sul territorio Nazionale sono presenti 31 cattedre alle SMIM, 45 ai licei delle quali moltissime di poche ore, visto l’esiguo numero di allievi provenienti dalle SMIM. Per contro le cattedre di Arpa nei Conservatori sono 58 e rilevo dalle colleghe che pochissimi studenti iscritti ai corsi pre accademici o accademici degli ultimi 5 anni sono di provenienza da SMIM (in tutto 22 ) o dai Licei (in tutto 4). I dati con numeri maggiori derivano dalle medie o licei annessi al Conservatorio.

Rispetto a un censimento di circa dieci anni fa su base nazionale le percentuali di presenza di classi di Arpa sul territorio nazionale risultano invariate: le analisi dei dati registrano lo 0,4% di presenza di scuole medie a indirizzo musicale con Arpa su territorio nazionale e la maggiore ubicazione è al Sud. Si evidenziano inoltre zone con la totale assenza dell’insegnamento di questo strumento.

Proseguendo con l’indagine si rileva che l’utenza delle SMIM spesso non sceglie il percorso musicale per fini professionali e che i percorsi didattici presso le SMIM non sono professionalizzanti. Le famiglie che scelgono l’indirizzo musicale per il figlio spesso lo fanno per avvicinarlo a uno strumento musicale e per consentirgli di fare un’esperienza di tipo musicale. Spesso tale scelta è motivata dal fatto che la sezione musicale ha un utenza più selezionata. Dalle statistiche risulta che in genere difficilmente lo studente ha avuto approcci musicali antecedenti. Alla fine del percorso solo il 10% degli studenti manifesta l’interesse a proseguire gli studi presso il Liceo Musicale o il Conservatorio ma spesso il livello di accesso è troppo basso per proseguire.

I docenti delle SMIM segnalano che, dovendo programmare settimanalmente delle lezioni di gruppo, avendo a che fare con studenti che devono ancora acquisire le abilità tecniche associate ad una indipendenza di studio, durante le lezioni individuali fanno fatica a svolgere un programma di avanzamento tecnico individuale poiché devono utilizzare il tempo a insegnare le parti di orchestra. Il livello di uscita dalla terza media corrisponde a un I/II anno del periodo Base dei corsi pre-accademici presenti in molti Conservatori.

Basandosi sui dati dei sondaggi rilevati e sopra esposti, per garantire il sistema professionale oggi istituito presso i Conservatori e riconosciuto come valido e professionalizzante da tutte le maggiori istituzioni europee e internazionali, solo per l’arpa bisognerebbe istituire 750 cattedre nelle medie a indirizzo musicale su tutto il territorio nazionale e circa 150 nei licei musicali.

 

Analisi della situazione nel liceo musicale

L’utenza del liceo musicale è varia: oltre alla scelta implicita del proseguire o iniziare un percorso musicale si possono trovare anche studenti che scelgono questo percorso pensando che sia più leggero. Non essendoci un requisito di livello medio come competenze d’ingresso, spesso gli utenti cominciano da zero il percorso musicale. Le cattedre di arpa presenti sul territorio nazionale non sono quasi mai complete e spesso l‘arpa viene scelta come secondo strumento.

Come risulta dal rapporto 2016 sui Licei Musicali e Licei Coreutici italiani solo il 27,6 % degli studenti che escono dal Liceo e s’iscrivono in Conservatorio sono al livello d’ingresso di quest’ultimo. Se rapportato all’esiguo numero d’iscritti di arpa, questo dato spiega la sofferenza di questo strumento.

 

Sintesi delle problematiche emerse

– 31 cattedre di arpa nelle SMIM = (31 x 6) 186 studenti in uscita ogni anno. Solo il 10 % prosegue gli studi musicali dunque solo 19 studenti in tutta Italia;

– 45 cattedre di arpa nei licei musicali con pochi iscritti. Se si diploma uno studente ogni anno ci sono 45 studenti di arpa dei quali solo il 60% entra nei conservatori. Ogni anno s’iscriveranno 27 allievi di arpa in tutta Italia. Tuttavia i dati degli ultimi cinque anni raccolti sulla situazione Arpa parlano di una decina d’iscrizioni in arpa provenienti dai licei musicali nel quinquennio;

– tutti i docenti delle scuole di ogni ordine e grado lamentano la mancanza di sinergia tra le istituzioni e la mancanza di collegamento d’intenti e percorsi;

– si constata l’assenza di filiera sul territorio (sono presenti pochissime medie con Arpa e pochi allievi ai Licei);

– medie e licei non hanno percorsi professionalizzanti;

– le scuole sono distribuite sul territorio nazionale senza un criterio territoriale;

 si usa l’arpa celtica anche dopo i primi anni e questo limita lo svolgimento del programma di studio e il progresso tecnico;

 

Possibili soluzioni

– l’istituzione sul territorio di corsi di tutti gli strumenti musicali in modo capillare. Come esistono le quote rosa per evitare discriminazioni nei confronti delle donne, analogamente vanno emanate delle norme speciali a tutela degli strumenti non ancora presenti nelle percentuali dovute. La distribuzione delle cattedre non dovrà più seguire criteri particolaristici ma di equa diffusione. Pertanto si chiede che presso SMIM e Licei, gli strumenti siano attivati su richiesta senza il limite di attivazione delle quattro cattedre (o otto per il Licei);

– convenzioni con le ditte per il comodato d’uso degli strumenti e affitti più economici e vantaggiosi per scuole e famiglie;

– convenzioni di SMIM e licei musicali con i conservatori (per consentire a docenti e studenti di arpa di far lezione utilizzando strumenti e spazi del conservatorio ove possibile);

– coordinamento con il Conservatorio per redigere programmi, progetti di produzione, saggi e supervisione del percorso;

– al fine di garantire la corretta continuità del percorso di studi musicali si chiede di prevedere un progetto didattico riguardante l’intera filiera della formazione musicale;

– lo stanziamento di fondi speciali per l’acquisto di strumenti musicali meno presenti nell’offerta formativa, al fine di favorirne l’attivazione;

– che l’arpa sia considerata tra gli strumenti obbligatori nella scelta del secondo strumento essendo polifonico e che sia prevista un’equa distribuzione degli iscritti sui secondi strumenti polifonici ( per coloro che suonano uno strumento monodico). Si fa presente che in questo caso il percorso potrebbe cominciare come arpa celtica.

 

Richieste al legislatore

Il coordinamento nazionale dei docenti di Arpa pur lodando la sensibilità di questo DL 60/17 volto alla divulgazione dell’arte nel territorio nazionale chiede:

– che nell’art 12 comma 1 del DL 60/17 sia così specificato: ogni istituzione scolastica secondaria di primo grado ha l’obbligo di attivare percorsi a indirizzo musicale in coerenza con l’offerta triennale formativa e secondo un’equa distribuzione degli strumenti sul territorio;

– l’istituzione di un organo super partes di coordinamento nazionale che abbia come scopo la garanzia di percorsi formativi professionalizzanti e la presenza di tutti gli strumenti nelle scuole a indirizzo musicale;

– l’istituzione di quote minime percentuali di presenza di tutti gli strumenti musicali nelle scuole secondarie, ovvero una quota percentuale che garantisca su ogni zona del nostro territorio nazionale la presenza e la distribuzione di tutti gli strumenti.

– l’istituzione di coordinamenti nazionali verticali di ogni strumento con il compito di fornire le migliori soluzioni per la stesura e realizzazione dei decreti attuativi;

— che i Conservatori in sinergia con i provveditorati abbiano il compito di monitorare la situazione cattedre di strumento del territorio di competenza all’inizio di ogni anno Scolastico . Al fine di garantire il diritto allo studio  per ogni studente che richieda l’iscrizione alle classi di strumenti non presenti sul territorio, si suggerisce  di  adottare le linee guida della nota ministeriale prot. N. 5908 del 4/10/ 2010 a firma di Bruno Civello, ex direttore generale del comparto AFAM MIUR.

La circolare con un pragmatico buon senso indicava le linee guida per gestire e garantire il percorso formativo musicale fino all’attivazione della formazione musicale e coreutica di base nell’ambito dell’istruzione primaria e secondaria. In questa ottica  autorizzava i conservatori all’attivazione di percorsi didattici che garantissero una preparazione adeguata e certificata fino a che non fosse andato a regime il nuovo assetto ordinamentale scaturito dalla legge di riforma 508 del 1999. Avendo evidenziato che ad oggi moltissimi strumenti non sono presenti nel Piano dell’Offerta Formativa delle scuole primarie e secondarie a indirizzo musicale si chiede che i Conservatorio siano autorizzati al mantenimento del suddetto percorso formativo. Solo così oggi sarebbero garantiti il diritto allo studio di qualsiasi strumento musicale previsto nei Conservatori di Musica e il diritto a una formazione musicale professionalizzante (che da sempre è prerogativa dei Conservatori), tutelando nel contempo un percorso formativo musicale non professionalizzante all’interno della scuola primaria e secondaria.

– in considerazione e nel rispetto della profonda differenza strutturale e ideologica tra il percorso divulgativo e quello professionalizzante, che vengano mantenuti entrambi i canali tramite due percorsi ben distinti che consentano all’allievo dotato di essere individuato, formato e valorizzato secondo i princìpi che animano la Costituzione Italiana (Artt. 3, 4 e 33).

 

ALLEGATI

 

Maria Elena Bovio

Coordinamento nazionale dei docenti di arpa

 

Problematica docenti II fascia Conservatori di musica e ISSM

Intervento presentato a Milano il 6 giugno 2017 in occasione dell’incontro “Prospettive per l’AFAM”.

Noi docenti di Accompagnamento pianistico, ringraziando per l’ospitalità, in questa sede portiamo all’attenzione e sollecitiamo una risoluzione urgente ad una problematica che si protrae ormai da più di un decennio, “prioritaria e non più rinviabile”: l’ingiusto e ingiustificato inquadramento giuridico-economico in cui ancora si ritrova un’ intera e sola categoria di docenti titolari di cattedra: i docenti di Accompagnamento pianistico, appunto.

Da più di un decennio il CCNL del comparto AFAM ha accorpato le due figure esistenti nei Conservatori – docenti e accompagnatori al pianoforte – in un’unica area di docenza, articolata in due fasce, ma con identica funzione.

L’ inquadramento degli ex-accompagnatori al pianoforte nell’ area docente è stato poi completato con i decreti attuativi della Riforma prevista dalla L.508/99: il D.M.90/2009 (Settori disciplinari e declaratorie) e il D.M. 124/2009 (Ordinamenti didattici). Questi ultimi hanno conferito in via esclusiva agli ex-accompagnatori al pianoforte la titolarità del settore artistico-disciplinare CODI/25 Accompagnamento pianistico e le relative discipline d’ insegnamento.

Allo stato attuale i docenti di Accompagnamento pianistico, sono gli unici titolari di cattedra ad essere ancora inquadrati come “professori di II fascia”, in assenza di una prima fascia di docenza per lo stesso insegnamento, nonostante:

svolgano le medesime funzioni didattiche, di produzione e ricerca dei colleghi di prima fascia;

– abbiano i medesimi obblighi di servizio dei colleghi di prima fascia;

– siano titolari delle discipline ‘formative caratterizzanti’ obbligatorie dei corsi accademici di I e II livello di Pianoforte, Maestro collaboratore e Canto (sono relatori di Tesi e rilasciano Diplomi accademici di I e II livello);

vengano richieste loro competenze professionali di pari livello ai colleghi di I fascia;

– siano eleggibili, come i colleghi di I fascia, negli organi di governo delle istituzioni.

Si tenga presente anche che la selezione degli attuali docenti di Accompagnamento pianistico è sempre avvenuta in base agli stessi criteri di valutazione dei titoli di studio, didattici ed artistici degli altri docenti e che un cospicuo numero di docenti di Accompagnamento pianistico di oggi è risultato vincitore dell’ultimo concorso per esami e titoli di cui al D.M. 18 luglio ’90, dando prova sul campo di conoscere approfonditamente i contenuti delle discipline che oggi insegnano al pari di ogni altro collega di I fascia.

E il MIUR ha autorizzato l’attivazione dei corsi specialistici di Maestro collaboratore o Sostituto di nostra titolarità, riconoscendo quindi la professionalità e le competenze specifiche richieste a questa importante figura del settore.

Risulta evidente, quindi, la discriminazione alla quale siamo sottoposti, visto che il settore disciplinare CODI/25 è l’ unico tra i 108 individuati per i Conservatori di Musica, in cui tutti i docenti sono inquadrati in II fascia, con un livello retributivo inferiore.

Già il CCNL in vigore, all’ art.18 co.1 si impegnava alla risoluzione del problema obbligando le parti contraenti ad apposita sequenza contrattuale al fine di derubricare le attuali due posizioni giuridiche in posizioni meramente economiche prevedendo opportunità di sviluppo economico. Ma ad oggi registriamo un nulla di fatto.

Il sussistere di una situazione priva di prospettiva futura, nonché di un riconoscimento economico congruo è in contrasto con il dettato degli artt.3 e 36 della Costituzione e del generale principio di retribuzione adeguata e proporzionata alla prestazione professionale.

Infatti proprio i pareri legali da noi acquisiti definiscono ‘illegittima’ in quanto lesiva dei diritti costituzionali dei docenti, una II fascia di docenza in assenza del sussistere di una prima fascia di docenza del corrispondente insegnamento. E del tutto illegittima una discriminazione basata sulla diversa disciplina oggetto di insegnamento, poiché non si può certo affermare che le discipline insegnate dal docente di Accompagnamento pianistico, peraltro inserite tra le discipline obbligatorie ‘caratterizzanti’ nei piani di studio di Pianoforte e Canto, siano di ‘serie B’ rispetto a quelle insegnate da tutti gli altri colleghi docenti di I fascia, molte delle quali, discipline “integrative o affini” o “a scelta”, non rilasciano nemmeno diplomi accademici.

Tutti i nuovi insegnamenti introdotti dalla Riforma sono di prima fascia, e anche il piano di assunzione dei precari prevede l’ immissione in ruolo direttamente in I fascia, persino per quei docenti che, a contratto, abbiano maturato un servizio triennale nell’ambito dei corsi pre-accademici!

Pertanto riteniamo essere un nostro diritto l’inquadramento nella prima fascia per l’insegnamento di nostra titolarità, nel quale abbiamo maturato esperienza didattica e rilasciato titoli accademici specialistici, al pari di tutti i nostri colleghi docenti.

L’ istituzione del Settore Disciplinare CODI/25 colma una lacuna storica degli studi pianistici in Italia. Infatti, proprio in Italia, culla del Belcanto e patria del teatro d’opera, solo di recente, con l’entrata in vigore della L.508 e relativi decreti attuativi, sono state inserite stabilmente nei piani dell’offerta formativa, discipline specifiche del settore, tra cui l’accompagnamento pianistico e il corso specialistico di Maestro collaboratore, appunto. Si è trattato dunque di un adeguamento alle analoghe Istituzioni europee, dove i docenti di accompagnamento pianistico già da tempo tengono scuola: basti pensare al Korrepetitor o Vocal coach, figure altamente qualificate del settore.

Infatti quella del docente di Accompagnamento pianistico è una competenza specifica che, partendo da una solida formazione pianistica di base, ha approfondito il vasto repertorio vocale e strumentale, nonché tecniche di lettura estemporanea, di riduzione orchestrale al pianoforte e di trasposizione tonale, pratiche imprescindibili per un buon Maestro collaboratore o Sostituto di teatro e fondamentali per chi intraprende il percorso della direzione orchestrale, cosa che avviene non di rado.

Purtroppo ci rammarichiamo che ad oggi la nostra funzione docente, conferitaci dalla normativa vigente ed esplicitata dall’ inserimento delle nostre discipline nei piani di studio tra le materie ‘formative caratterizzanti’ obbligatorie, risulti non essere stata riconosciuta in maniera omogenea sul territorio nazionale, creando situazioni di difformità in seno alla categoria stessa. Evidenziamo anche la sussistenza di statuti, in cui viene privato il diritto di elettorato passivo per la carica di “direttore” ai docenti di II fascia, come se i requisiti di “comprovata professionalità” indispensabili per aspirare a tale carica, a priori non possano appartenere a questa categoria di docenti che, peraltro, può vantare già due direttori che con serietà e competenza hanno portato a termine i due mandati.

Ci rivolgiamo quindi alle forze politiche qui presenti, ai rappresentanti sindacali, agli interlocutori ministeriali, ai direttori e ai colleghi tutti, perché dalle parole si passi finalmente ai fatti, e sia riconosciuta, una volta per tutte e sotto tutti gli aspetti, pari dignità ad una categoria di docenti che, come tutti i docenti e con la stessa professionalità, concorre alla ricca offerta formativa delle nostre Istituzioni di Alta Formazione Musicale.

Chiediamo quindi che si possa inserire un emendamento al DDL 322 in discussione alla VII Commissione Senato volto a superare questa “anomalia” ingiustificata con l’inquadramento dei docenti di Accompagnamento pianistico, come il resto del corpo docente, nella prima fascia di docenza, sulle medesime cattedre da essi occupate. Ciò non andrebbe ad incidere su posti da riservare alla stabilizzazione dei precari e garantirebbe i diritti costituzionali di questi docenti.

I Docenti di Accompagnamento pianistico CODI 25
dei Conservatori di Musica e ISSM

OpernStudio e OperaStudio: strategie e prospettive

Intervento presentato a Milano il 6 giugno 2017 in occasione dell’incontro “Prospettive per l’AFAM”.

Il presente intervento vuole essere un racconto, più che una illustrazione tecnica e ordinata, della esperienza maturata negli ultimi tre anni al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Esperienza che non esito a definire avventurosa e il cui modello non so neppure se possa essere esportato. Ad ogni buon conto, ritengo che il percorso intrapreso per realizzare il nostro esperimento contenga spunti di lavoro e -forse- qualche idea che vale la pena di essere condivisa, anche al fine di avviare una riflessione generale sugli  «OperaStudio», argomento tanto interessante quanto trascurato in Italia.

Attraverso la mia esperienza professionale ho avuto modo di venire a contatto con realtà formative e produttive svizzere, tedesche, britanniche, giapponesi, coreane e statunitensi. Gli OperaStudio di quei paesi hanno molte differenze fra loro, ma sono accomunate da una caratteristica: sono imprese bicefale in cui giovani allievi di canto teatrale frequentano mediamente uno/due anni un corso di specializzazione gestito da un istituto di alta formazione e debuttano titoli nel cartellone di un teatro partner del territorio. Il debutto può riguardare ruoli protagonisti (solitamente seconde compagnie), molto spesso ruoli comprimariali e talvolta anche compagini corali. A seconda delle dimensioni, a fianco dei corsi per cantanti possono essere attivati anche indirizzi per maestri sostituti, professori d’orchestra, direttori d’orchestra, registi. In ogni caso le giovani maestranze degli OS vengono contrattualizzati per gli spettacoli con scritture professionali a costo contenuto o con borse di studio diventando perciò le prime concrete occasioni d’inserimento in ambito produttivo organizzato e altamente professionalizzato.

Le istituzioni di governo promuovono gli OS attivandone i programmi presso le strutture scolastiche preposte. I teatri coinvolti possono in questo modo beneficiare di sovvenzioni apposite. In taluni casi sono addirittura obbligati -pena il decadimento di parte dei contributi- a riservare parte dei contratti e della programmazione agli OS. È da dire, infine, che spesso questi percorsi vengono in ogni caso percepiti dalle istituzioni teatrali come risorse artistiche di buona qualità a cui attingere, anche al fine di contenere i costi.

In buona sostanza, in molti Paesi gli OS saldano due necessità -economia di spesa e praticantato artistico- altrimenti separate.

In Italia, paese in cui l’opera è nata e costituisce imprescindibile patrimonio culturale, gli OS non esistono. Perché?

Innanzitutto ci si scontra con una diffidenza storica delle imprese di spettacolo: i teatri pubblici[1] non sono mai stati incentivati a realizzare alleanze organiche con i conservatori di musica. E c’è da dire che neppure il pubblico, storicamente molto polarizzato e reattivo, è culturalmente predisposto ad un’offerta caratterizzata da maestranze esordienti. Il panorama negli ultimi lustri è profondamente mutato, e come conseguenza dei tagli al Fondo Unico Spettacolo e di una crisi finanziaria permanente, le Accademie annesse alle Fondazioni Lirico Sinfoniche hanno cominciato ad acquisire nei cartelloni degli “enti-madre” un’evidenza del tutto impensabile fino alla fine del secolo scorso. Il fenomeno è tutt’ora in atto e in via di incremento, con risultati molto differenti a seconda delle piazze.[2]

Ma, al di là delle quattordici Fondazioni Lirico-Sinfoniche che hanno mezzi e convenienze per sostenere Accademie autonome, rimane incolto un enorme terreno rappresentato da ventinove Teatri di Tradizione, da molti Festival e dalle residue Imprese Liriche. Eppure le due necessità sopra citate (l’indebolimento economico dei teatri e il praticantato artistico degli allievi di conservatorio) sono fenomeni in progressiva crescita in questi anni di contrazione economica.

Né i conservatori sono esenti da colpe sull’aergomento: sembra paradossale, ma anche i i nostri istituti storicamente non hanno fatto a gara per interessarsi a forme di OS. I motivi sono molti. Basti pensare, ad esempio, alla centralità data alla pratica strumentale rispetto al teatro musicale, nonostante la lirica rappresenti per il musicista praticante la quasi totalità delle possibilità occupazionali. Si pensi poi ai limiti normativi che hanno governato i conservatori fino alla legge 508. Si osservi come la vecchia organizzazione del Conservatorio in “Scuole” di strumento e canto, rigidamente separate, abbia significamente osteggiato -negli anni- le progettualità trasversali. Si consideri, infine, come un monte ore angusto e senza risorse aggiuntive incentivi implicitamente l’invariabilità dell’offerta.

Tutto ciò ha avuto come esito un colpevole, evidente, immobilismo. Immobilismo che non ha prodotto danni irreversibili fin quando è sopravissuta una pratica teatrale viva e diffusa sul territorio (il bacino di riferimento prevalente era quello dei teatri di tradizione) che consentiva ai giovani migliori l’attuazione di percorsi “di bottega” per la crescita graduale. Oggi però diagnostichiamo l’agonia di tale sistema: i tempi di produzione sono talmente ristretti che i giovani dovrebbero cominciare a lavorare con abilità di base nemmai sperimentate. E non bisogna neppure sottacere che le direzioni artistiche sovente si adagiano su comode pratiche monopolistiche di casting che consentono di rischiare poco a fronte di impegni di selezione nulli.

L’assenza di opportunità per gli esordienti, coniugandosi alla scarsità di risorse del sistema produttivo, crea addirittura percorsi surrettizi agli OperaStudio: tali sono le fioriture incontrollate di pseudo accademie che garantirebbero (almeno sulla carta) il debutto; tali sono quei concorsi che, in taluni casi, si sono trasformati in vere agenzie di collocamento artistico low-cost. Tutto questo nel disinteresse dei Conservatori di Musica.

E l’impatto economico e sociale del settore non sarebbe neppure così trascurabile. Infatti, nel momento in cui i livelli di occupazione teatrale stabile in Italia crollavano, si aprivano nuove opportunità d’impiego interessanti dal punto di vista numerico, con maggiori unità impiegabili rispetto al passato. In sostanza, di fronte alla contrazione economica, la protezione corporativa -che tendeva a replicare uniformemente scelte di casting nei cartelloni delle diverse città- si è aperta, lasciando maggiori spazi di inserimento per i giovani.

Partendo da tali premesse, ci si troverebbe dunque al cospetto d’un vero e proprio enigma labirintico: all’esterno si pone una domanda virtualmente consistente (il mondo del teatro lirico istituzionale) mentre al centro è imprigionata una offerta oggettivamente ricca (gli allievi delle nostre istituzioni). In mezzo si trova un contesto che si dimostra aggrovigliato perché non progettato per funzionare come sistema. La soluzione potrebbe dunque essere il districo del contesto da parte dei Conservatori, che dovrebbero assumere l’iniziativa del collegamento fra dentro e fuori. Come uscirne?

Parafrasando Umberto Eco,[3] errore comune è cercare la strada pensando il labirinto. Bisogna piuttosto pensare col labirinto e dentro al labirinto: è infatti impossibile uscire quando si pensa il modello di pensiero del labirinto, creato per disorientare. Dedalo, il maestro del labirinto, metteva alla prova quella particolare forma d’intelligenza che in Grecia chiamavano mètis:

«quel tipo particolare di intelligenza che, invece di contemplare essenze immutabili, si trova direttamente implicata nelle difficoltà pratiche, con tutti i suoi rischi, di fronte a un universo di forze ostili, sconcertanti perché sempre mutevoli e ambigue. È un’intelligenza impegnata nel divenire»[4] che si concentra «sull’efficacia pratica, sulla ricerca del successo nel campo dell’azione: molteplici abilità utili alla vita, perizia dell’artigiano nel suo mestiere, artifici magici, uso di filtri e di erbe, stratagemmi di guerra, inganni e finzioni, astuzie di ogni genere».[5]

Tralasciando (forse) le arti magiche e i filtri d’erbe, tutti coloro che si destreggiano nella palude istituzionale, legislativa e procedurale italiana sanno di dover adoprare quotidianamente la mètis per ottenere un qualsiasi risultato. A meno che non ci si adagi in un contesto che non ci soddisfa o ci si fermi, annegando nell’inazione.

Ma, per ragionare col labirinto, bisogna dire che -nel frattempo- il caso, la tyche, sembrava aver disposto alcune pedine interessanti. Innanzitutto, la legge 508 (Art. 2 comma 4) stabilisce che i Conservatori di musica sono «sedi primarie di alta formazione, di specializzazione e di ricerca nel settore artistico e musicale e svolgono correlate attività di produzione». In questo comma troviamo un profondo cambiamento rispetto al passato. Fino alla 508 si era essenzialmente soggetti alle funzioni delineate dal Regio Decreto 31 dicembre 1923, n. 3123 (Art. 4): «Le scuole ed istituti d’arte hanno il fine di addestrare al lavoro e alla produzione artistica». Non v’è chi non possa comprendere la sostanziale differenza tra “addestramento alla produzione” e “produzione”. Alla lettera, perciò, i Conservatori con la 508 hanno assunto -fra l’altro- compiti in qualche misura sovrapponibili (e non semplicemente tangenti) a quelli dei teatri, dei festival, delle stagioni musicali e società di concerti. Certo, si tratterebbe di specificare meglio il significato esatto del sostantivo “produzione”, concetto superficialmente dato per acquisito e stabilizzato nella nostra epoca: in maniera semplicistica, nel caso di OS si può parlare di produzione quando il soggetto (in questo caso l’istituzione conservatorio) crea un oggetto (il prodotto artistico) con un valore (non necessariamente economico e materiale) innestabile nel segmento di mercato del teatro partner (il pubblico delle sue Stagioni operistiche). Va da sé che, con tale impostazione, la produzione assume un profilo esorbitante rispetto al “saggio del conservatorio” curricolare, il quale -in ogni caso- rimane elemento imprescindibile nella formazione di tutti gli allievi (con funzione di addestramento).

Fatta questa premessa, e detto a chiare lettere che la 508 è la tipica “riforma italiana a costo zero”,[6] e che i conservatori non hanno risorse economiche e strumentali che consentano di sostenere vere produzioni teatrali,[7] bisogna aggiungere che nel 2014 la riforma Bray del Mibact[8] gettava i semi per incentivare pratiche innovative nell’offerta artistica delle istituzioni finanziate attraverso il FUS. In particolare, nella nostra ottica, risultano molto interessanti i criteri di valutazione delle programmazioni -divenute, tra l’altro triennali- dei Teatri di tradizione esplicitati nell’Allegato B, alla Tabella 12[9].

ASSE OBIETTIVO STRATEGICO OBIETTIVO OPERATIVO FENOMENO
PROGETTO 1. Qualificare il sistema di offerta Sostenere la qualità del personale artistico Qualità della direzione artistica
Qualità professionale del personale artistico e/o degli artisti ospitati
Sostenere la qualità del progetto artistico Qualità artistica del progetto
Innovare l’offerta Innovatività dei progetti e sostegno al rischio culturale
Organizzazione di corsi e concorsi
Stimolare la multidisciplinarietà Multidisciplinarietà dei progetti
2. Sostenere, diversificare e

qualificare la domanda

Intercettare nuovo pubblico Rapporti con università e scuole e avvicinamento dei giovani
Incrementare la capacità di fruizione Interventi di educazione e promozione presso il pubblico
Apertura continuativa delle strutture gestite
SOGGETTO

 

9. Valorizzare l’impatto mediatico e il progetto di promozione Rafforzare la strategia di promozione Strategia di comunicazione (sito internet, campagna di comunicazione, nuovi media e social network, dirette streaming degli spettacoli, ecc. )
10. Sostenere la capacità di operare in rete Incentivare reti artistiche e operative Integrazione con strutture e attività del sistema culturale
Sviluppo, creazione e partecipazione a reti nazionali e internazionali

La tyche in quel periodo sembrava perciò volgere all’ eutychìa, per dirla con Aristotele: nel medesimo scorcio di mesi, infatti, il direttore artistico del Teatro Comunale di Treviso stabiliva di inserire nella stagione d’opera autunnale la ripresa d’uno spettacolo allestito dal Conservatorio di Venezia e andato in scena per la prima volta nel cortile monumentale di Palazzo Pisani. Si trattava dell’ “opera cinese” in un atto Il gioco del vento e della luna del compositore Luca Mosca, scritta appositamente per un gruppo (francamente formidabile) di allievi presenti nella istituzione quell’anno accademico.

Fernanda Girardini e Paolo Ingrasciotta
ne Il gioco del vento e della luna, Treviso, dicembre 2015

Nel 2014 a Venezia già esisteva, dunque, un tavolo in cui Teatro di tradizione e  Conservatorio ragionavano di produzione ed allestimento. Quando è entrata in vigore la riforma, assieme al direttore artistico del teatro Gabriele Gandini e al direttore del Conservatorio Franco Rossi abbiamo intuito che, mettendo al servizio l’uno dell’altro risorse già presenti nelle reciproche programmazioni, avremmo potuto rispondere a molti dei requisiti indicati dal decreto Valore Cultura. Le risorse (evidenziate graficamente con sfondo bianco) riguardano sia l’asse del “progetto” sia quello del “soggetto”, toccando a titolo diverso tutti e quattro gli obiettivi strategici. Non entro nel dettaglio, ma è evidente che un conservatorio di musica italiano nel campo dei titoli rari e della musica contemporanea, nel settore della educazione, nella partecipazione a reti nazionali ed internazionali, nella specificità dei suoi contatti, possiede un notevole patrimonio che un teatro può costituire solo mettendo in campo onerosi investimenti a lungo termine. Evidente, dunque, il vantaggio -anche di carattere economico- che ad un teatro in sintonia con la riforma Bray deriverebbe da un’alleanza organica con un conservatorio.

Coraggiosamente, le due istituzioni hanno perciò pensato di realizzare un protocollo di collaborazione riguardante sei  titoli in tre anni (tre di repertorio e tre contemporanei, di cui due nuove commissioni): Il gioco del vento e della luna (Luca Mosca), Convenienze e inconvenienze teatrali (Gaetano Donizetti), Aura (Luca Mosca), Giovedì grasso/campanello (Gaetano Donizetti, nuova trascrizione dall’autografo), Atlas 101 (Giovanni Mancuso) e Cecchina o sia la buona figliola (Niccolò Piccinni). Nel 2017 -in via sperimentale- il protocollo si è addirittura esteso al coro e ai comprimari degli altri titoli del cartellone trevigiano. In parallelo continuavano anche le coproduzioni (due titoli per anno) con la Fondazione del Teatro La Fenice: Le Cinesi (Cristoph Willibald Gluck), Il ritorno dei Chironomidi (Giovanni Mancuso), Giulietta e Romeo (Niccolò Zingarelli), Barabau/L’Aumento (Vittorio Rieti e Luciano Chailly). Per ordinare tutta la materia, e per mettere a sistema l’intensa attività di produzione programmata, si è dunque deciso di denominarla OperaStudio del Conservatorio Benedetto Marcello, con l’implicito vantaggio di rendere immediatamente riconoscibile, all’esterno, questo tipo di attività, molto qualificante. Voglio aggiungere che la progettualità è stata premiata dal Mibact con un innalzamento della quota annuale FUS al teatro di Treviso, e che il Conservatorio di Venezia ormai percepisce come assett strategico OS, mentre gli allievi migliori si vedono riconosciuti veri e propri contratti professionali che costituiscono incentivo alla crescita individuale e avvìo alla professione.

Lo sforzo -ancora abbondantemente in corso- è di regolamentare OperaStudio, che nel frattempo è stata riconosciuta dal Consiglio Accademico del Conservatorio di Venezia anche sotto la specifica di “Corso libero”.

Due, a mio avviso, le criticità principali emerse da questi tre anni di esperienza: 1) la compatibilità con il rigore dei calendari di lezione degli allievi; 2) la tecnica di selezione, che deve contemperare (fin dalla scelta del titolo) la necessità di qualità artistica del teatro partner con la necessità di centralità delle maestranze di provenienza interna. La sfida quotidiana è appunto quella di riuscire a realizzare un buon equilibrio fra le due componenti, tale da non deprimere l’offerta artistica né snaturare le peculiarità delle scuole interne al Conservatorio.

In apertura sollevavo dubbi sulla esportabilità del modello: l’intraprendenza del Conservatorio di Venezia ha spinto a trovare una via d’uscita, ma sembra che il contesto esterno, il labirinto, stia nuovamente per mutare. Parrebbe infatti intenzione dell’attuale governo Gentiloni approvare una nuova legge sulla musica, e non sappiamo se la provvida impostazione di Bray in materia di triennalità e contenuti verrà riaffermata.

Certo: sarebbe troppo sperare in un provvedimento congiunto a favore degli OperaStudio che faccia colloquiare Mibact e Miur e che riconosca valore istituzionale a questi percorsi, anche in termini di razionalizzazione. Dunque rimaniamo in attesa di capire, augurandoci di non dover ancora attingere a quelle preziose riserve di mètis che giacciono in ogni docente di Teoria e tecnica dell’interpretazione scenica.

Francesco Bellotto

 

[1] Faccio riferimento alla pur sempre vigente categorizzazione della legge 800 del 1967 e della legge 163 del 1985.

[2] Voglio qui citare, per esempio, due casi di eccellenza: l’Accademia della Scala di Milano e l’Accademia del Maggio musicale fiorentino dove le sensibilità accese di personalità come quelle di Alexander Pereira, Gianni Tangucci e Pierangelo Conte hanno organicamente aperto agli allievi accademici il casting delle produzioni maggiori.

[3] Cfr. la prefazione al libro di Paolo Santarcangeli, Il libro dei labirinti, Frassinelli

[4] Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant, Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia, Bari, Laterza, 2005,  p. 33.

[5] Ibidem, p. 3.

[6] Intendo con questa locuzione un provvedimento legislativo che assegna alle istituzioni nuove funzioni e compiti senza peraltro provvedere al finanziamento dei nuovi segmenti di pertinenza.

[7] La situazione classica che i docenti di Teoria e tecnica dell’interpretazione scenica devono affrontare quando si progetta un allestimento è di dover noleggiare tutto quel che esula dalla sfera puramente artistico/musicale, a cominciare dallo spazio, passando per i tecnici e le attrezzature, senza ovviamente tralasciare quanto indispensabile al decoro scenico, costumi e financo le minute attrezzerie. Gli OperaStudio nordamericani e giapponesi, ad esempio, hanno invece a disposizione dei veri e propri teatri con maestranze e magazzini operativi.

[8] Legge voluta e delineata dal ministro Massimo Bray nel 2013 e divenuta decreto con titolo “Valore Cultura” nel 2014, sotto il ministero Franceschini.

[9] D. L. 1 luglio 2014: Nuovi criteri per l’erogazione e modalita’ per la liquidazione e l’anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, GU Serie Generale n.191 del 19-08-2014, Suppl. Ordinario n. 71, p. 51.

La riforma dell’istruzione musicale superiore in una prospettiva europea

Intervento presentato a Milano il 6 giugno 2017 in occasione dell’incontro “Prospettive per l’AFAM”.

(Qui il pdf delle slides utilizzate durante l’intervento)

Correva l’anno 1999: anno della legge 508 (che determina la riforma del nostro settore), della 509 (relativa invece all’Università) e anno della dichiarazione di Bologna.
E’ nel 1999 che il destino della nostra formazione superiore si incontra e si intreccia con quello della formazione superiore in Europa.
Il ministro che firma la 508 è Luigi Berlinguer, e non è un caso.

Berlinguer, in quanto ministro della pubblica istruzione dell’Italia, era stato uno dei ministri, con Germania, Inghilterra e Francia, che si erano incontrati l’anno ecedente a Parigi alla Sorbona per discutere insieme della Convenzione di Lisbona del 1997 .
La Convenzione di Lisbona è un documento sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore in Europa e che, partendo dal riconoscimento dei titoli di studio, punta a creare uno spazio europeo di mobilità: quindi possibilità per gli studenti di spendere il proprio titolo ovunque in Europa e allo stesso tempo garanzie sul riconoscimento dei periodi di studio all’estero. Ovviamente il valore di tutto non è solo nella possibilità di muovere i giovani, c’è un valore superiore, che è quello di andare verso una Europa sempre più unita e perciò sempre più forte. C’è l’obiettivo di formare una generazione di cittadini sempre più consapevolmente europei.
Attenzione però che la Convenzione di Lisbona viene decisa da UNESCO e Consiglio d’Europa, è come se idealmente in qualche modo già dall’inizio i confini travalicassero quelli dell’Europa.

Comunque il titolo della Dichiarazione di Bologna è: “Lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore”, e con questa Dichiarazione viene dato il via ai lavori del processo di Bologna.
La scadenza che i ministri dell’istruzione si danno per creare lo spazio europeo dell’istruzione superiore è il 2010.
Nella slide vedete i principali obiettivi del Processo di Bologna.
Le parole chiave sono Armonizzazione dei titoli di studio, sistema con due cicli principali, sistema dei crediti, promozione della mobilità, valutazione della qualità. La Dichiarazione di Bologna venne firmata da 29 paesi.
Il cammino dal 1999 ad oggi è segnato da una serie di conferenze interministeriali, ognuna delle quali ha cercato di fare un passo in avanti verso la creazione di questo Spazio Europeo.

Queste sono le interministeriali che si sono susseguite:
Accanto ad alcune ho aggiunto qualche parola chiave che mi è sembrata particolarmente significativa nel nostro discorso presa dai comunicati elaborati da ciascuna conferenza, documenti che sono estremamente rilevanti perché sono sottoscritti dai governi e ne orientano le scelte politiche e strategiche.
Nel 2010 nasce ufficialmente lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore. I firmatari della Dichiarazione di Bologna, che inizialmente erano 29, sono diventati 47 nel 2010.

L’ultima conferenza è stata quella di Yerevan nel 2015, nella quale si riafferma la visione ispiratrice della Dichiarazione di Bologna di uno Spazio Comune dell’Istruzione Superiore all’interno del quale i diversi paesi con tradizioni politiche, culturali e accademiche diverse lavorano insieme, con obiettivi condivisi e impegni comuni. La dimensione di riferimento non è più solo quella europea e sono sempre più i paesi extra- EU che si interessano al processo di Bologna. Le nuove parole chiave sono: inclusione – comprensione interculturale – pensiero critico – tolleranza – valori democratici e civili.

Accanto ai compiti tradizionali dell’istruzione superiore, che sono insegnare, quindi trasmettere conoscenza, e fare ricerca, quindi creare nuova conoscenza, si mette in evidenza una terza missione. Che in realtà è solo un diverso atteggiamento mentale: vivere la nostra professione con la consapevolezza del ruolo che l’istruzione superiore ha nella società.

La prossima conferenza sarà nel 2018, a vent’anni dall’incontro alla Sorbona, e sarà di nuovo a Parigi. Quindi con la Dichiarazione di Bologna (1999) si mette in moto un meccanismo che produce una serie di decisioni vitali per tutto il sistema dell’istruzione superiore in Europa, e per il sistema della formazione musicale.
La Dichiarazione di Bologna è stata un terremoto, peggio, uno tsunami per i Conservatori europei.

Molti conservatori si muovevano in una sorta di territorio ambiguo e non ben definito, e la Dichiarazione di Bologna venne vista sul momento come una minaccia in quanto sembrava escludere una parte delle istituzioni dal settore della formazione superiore. Ma era vista come una minaccia anche dalle istituzioni che erano sicuramente eleggibili a rilasciare titoli di primo livello, perché non era per nulla sicuro che avrebbero potuto rilasciare anche titoli di secondo livello. Erano molto poche le istituzioni per le quali era chiaramente garantita la possibilità di rilasciare titoli di primo, secondo e terzo livello.

Il desiderio prevalente nei Conservatori europei era in realtà continuare la propria attività di insegnamento tradizionale, continuare a rilasciare gli stessi titoli “professionali” del passato, perché tutto questo aveva funzionato bene per generazioni e generazioni di musicisti. A sentirsi particolarmente minacciati erano i paesi dell’Europa meridionale.

E’ a questo punto che l’Associazione Europea dei Conservatori entra in gioco.

L’AEC era stata fondata nel 1953, per sviluppare i rapporti tra Conservatori in Europa, e soprattutto con i paesi dietro la cortina di ferro; la sede era in Svizzera, e aveva due presidenti, uno per l’Europa occidentale e uno per l’Europa orientale. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1990, si passò alla presidenza unica.
Arriviamo al 1999. Durante il congresso annuale dell’AEC tenutosi a Bucarest, i membri provenienti dai paesi dell’Europa meridionale chiesero un dibattito di emergenza sulla Dichiarazione di Bologna e sulle sue implicazioni. Il problema centrale era il diritto per i conservatori europei di rilasciare titoli di primo e secondo livello come le università.

Venne quindi elaborata una Dichiarazione nella quale:

-si accoglieva il principio dei due cicli;
-si affermava la parità di dignità tra gli studi universitari e quelli svolti nei conservatori di musica;
-si sostenevano i conservatori di Spagna, Portogallo, Italia e Grecia affinché i rispettivi governi riconoscessero questa parità di dignità;
-l’associazione metteva a disposizione dei singoli paesi l’esperienza dei propri membri nella valutazione e nell’assicurazione della qualità dei corsi di studio in musica.

Questo documento fu il primo di una serie di documenti elaborati e diffusi dall’AEC e connessi col Processo di Bologna e con tutti gli step successivi che sono stati segnati dalle varie Conferenze di cui abbiamo parlato prima. E il ruolo dell’AEC è stato molto rilevante sia nella fase di transizione che negli sviluppi successivi.

L’implementazione del Processo di Bologna non è stata cosa facile. Dopo una prima opposizione nel tentativo di conservare le proprie strutture tradizionali, si è poi arrivati gradualmente in tutti i paesi d’Europa a strutture in più cicli.
Vi parlavo prima della reazione sull’immediato dei conservatori europei.
Da questo magma in movimento nasce una generazione di musicisti/didatti i quali vedono nel processo non un’imposizione burocratica ma un’opportunità, e iniziano a lavorare a nuovi curricula da adottare all’interno dei conservatori europei post-riforma. L’AEC ha cercato di incoraggiare questo fenomeno positivo collaborando allo sviluppo dei Risultati di Apprendimento (Learning Outcomes) per i diversi cicli. Nel 2004 viene pubblicato un documento per il primo e il secondo ciclo.

Molti di voi si ricorderanno un importante Convegno che si tenne proprio qui a Milano nel 2005, “Musicisti domani: La riforma dei Conservatori dalla sperimentazione all’ordinamento”. Nel corso di questo Convegno vennero presentati proprio i “Risultati di apprendimento” elaborati dall’AEC, i quali erano l’applicazione nello specifico ambito musicale dei descrittori dei titoli di studi adottati in sede europea (Descrittori di Dublino).

Sicuramente tutti voi avete molto chiaro il DPR 212 del 2005. Sicuramente ancora più chiaro avete il documento di quest’anno (2017) col quale il ministero ha fornito alle istituzioni AFAM indicazioni precise per l’istituzione dei corsi e queste indicazioni fanno chiaramente riferimento ai descrittori di Dublino. Il titolo del documento è:
CRITERI PER UNA VALUTAZIONE OMOGENEA DEGLI ORDINAMENTI
DIDATTICI DEI CORSI DI STUDIO FORMULATI AI SENSI DEL D.P.R. 212/05
E’ scritto che i risultati di apprendimento attesi vanno indicati “anche con riferimento al sistema di descrittori dei titoli di studio adottato in sede europea”.

Vi ricordate le parole chiave che avevo evidenziato a proposito delle conferenze di Berlino e Bergen?
Cosa era accaduto:
Con la dichiarazione di Bologna era stata introdotta una struttura a cicli, ma presto ci si rese conto che non era sufficiente, e che questa struttura doveva essere supportata da maggiori dettagli sui risultati di ciascun ciclo, se si volevano raggiungere gli obiettivi di trasparenza, riconoscibilità dei titoli e mobilità accademica. In altre parole, non basta dire che la formazione superiore si deve articolare in un primo ciclo e in un secondo ciclo (e poi in un terzo) affinché poi un titolo sia riconosciuto in tutti i paesi. Come facciamo a dire che un diploma accademico di primo livello, magari in pianoforte, conseguito in Italia o Francia deve valere quanto un diploma accademico conseguito in Austria o in Olanda. Bisogna che i due titoli siano in qualche modo comparabili con riferimento a ciò che si sa e si sa fare a conclusione degli studi. E quindi si decise di definire cosa bisogna sapere e saper fare a conclusione di ciascuno ciclo.
Se noi vogliamo che i nostri titoli siano riconosciuti in Europa, non basta un nome, diploma accademico di primo livello, o di secondo, e di domani di terzo. Serve che a conclusione di quel percorso di studi i giovani abbiano acquistato competenze comparabili. La nostra autonomia è nel definire la strada specifica che vogliamo che i nostri giovani seguano per acquisire quelle competenze.

Questa è la sintesi di ciò che è avvenuto in quegli anni: 2003 – 2004 – 2005.

Vedete che nel 2007 l’AEC ha pubblicato i risultati di apprendimento per il terzo ciclo.
L’impegno dell’AEC verso la ricerca artistica è continuato negli anni successivi, ad esempio dando vita a una Piattaforma Europa per la Ricerca Artistica in Musica.

La storia continua. Nel 2006 nasce in Italia l’ANVUR, la nostra Agenzia nazionale di valutazione, come conseguenza della conferenza di Bergen, 2005, e le linee guida per l’assicurazione della qualità alle quali si attiene sono quelle approvate dai ministri a Bergen. Alla base c’è l’idea che affinché possa esserci il riconoscimento dei titoli non basta che la descrizione dell’offerta formativa sia chiara e trasparente (i risultati di apprendimento), ma deve esserci la garanzia che ciò che è previsto sulla carta venga anche attuato in concreto.

Anche sull’assicurazione della qualità l’Aec ha compiuto un grosso lavoro, sempre con lo scopo di fornire ai propri membri strumenti di lavoro efficaci nella direzione delle indicazioni europee, e sempre traducendole nel nostro specifico linguaggio di istituti di formazione musicale superiore.

L’ultimo atto rilevante è la nascita di MusiQuE – Music Quality Enhancement, una Agenzia indipendente per l’assicurazione della qualità e l’accreditamento per l’Alta Formazione Musicale.

Io mi devo fermare qui, perché il tempo è limitato.

Spero però di essere riuscita a dare un’idea di come la nostra storia sia strettamente legata a quella della riforma dell’istruzione superiore in tutta Europa, e di come l’AEC abbia supportato attivamente i suoi membri in questo cammino verso l’internazionalizzazione iniziato nel 1999.

Lucia Di Cecca

I video dell’incontro di Milano

Questi gli interventi di Enza Blundo, Renato Meucci, Elena Ferrara, Cristina Frosini, Alberto Giraldi, Roberto Neulichedl, Lucia Di Cecca, Riccardo Ceni, Leonella Grasso Caprioli, Marco Zuccarini, Cinzia Piccini, Rossella Vendemia, Fabio Dell’Aversana, Francesco Bellotto, Marcoemilio Camera, Beatrice Campodonico, Emilio Piffaretti, Maria Elena Bovio e Alberto Odone nell’ambito dell’incontro Prospettive per l’Afam organizzato dalla Conferenza dei Docenti dei Conservatori di Musica presso il Conservatorio di Milano il 6 giugno scorso.

 

Incontro del 6 giugno a Milano. Prove tecniche di dialogo

Il 6 giugno 2017 si è svolta a Milano presso il Conservatorio di Musica G. Verdi la prima giornata nazionale della Conferenza dei Docenti dei Conservatori di Musica Italiani.

Le tematiche trattate sono state quelle relative alla riforma del comparto AFAM, che, pur avendo ormai compiuto 18 anni (legge 508 del 1999), non è ancora stata completata (mancano in particolare i regolamenti attuativi relativi al reclutamento, la stabilizzazione dei bienni, l’attuazione dei dottorati di ricerca, la statizzazione degli Istituti Superiori di Studi Musicali comunali e provinciali).

La Senatrice Rosetta Enza Blundo ha affermato la necessità di un impegno forte da parte del MIUR verso le istituzioni AFAM e ha sottolineato la necessità e l’urgenza della risoluzione del precariato (con particolare riferimento alla graduatoria nazionale 128 attualmente valida solo per i contratti a tempo determinato); il Presidente della Conferenza dei Direttori dei Conservatori Renato Meucci dal canto suo ha lamentato l’assenza di un dialogo costruttivo con il MIUR, e la mancanza di attenzione di quest’ultimo alle necessità del comparto.

Al centro del dibattito è stato inoltre il problema dei corsi preaccademici, per i quali alcuni dei relatori (Cristina Frosini, direttore del Conservatorio di Milano, Alberto Giraldi, direttore del Conservatorio di Frosinone) hanno rivendicato il ruolo fondamentale dei Conservatori messo in crisi dal recente regolamento attuativo della legge sulla buona scuola, il cui art. 15 (armonizzazione dei percorsi formativi della filiera artistico-musicale) limita il ruolo e la presenza di queste tipologie di corsi all’interno degli Istituti Superiori di Studi Musicali, lasciandoli in buona parte alle Scuole Medie a Indirizzo Musicale e ai Licei Musicali. I relatori e alcuni interventi dei presenti hanno sottolineato le problematiche ancora riscontrabili in questi ultimi e la loro disomogenea distribuzione sul territorio nazionale. La senatrice Ferrara ha invece ribadito la necessità di un ridimensionamento della presenza dei corsi preaccademici nelle istituzioni AFAM e sottolineato che prima dei 16 anni non si può parlare di corsi professionalizzanti. Roberto Neulichedl ha affermato che va evitata una visione parcellaria, in cui le competenze interpretative sono disgiunte dalle competenze musicali e culturali generali.

Altro tema sviluppato è stato quello dell’internazionalizzazione. Gli interventi di Lucia Di Cecca e Riccardo Ceni, direttore del Conservatorio di Parma, hanno sottolineato il ruolo che i processi di internazionalizzazione rivestono ormai all’interno dell’AFAM, fornendo nuove possibilità per la ricerca, la mobilità e le convenzioni tra istituzioni di paesi membri dell’UE. L’ampliamento dell’offerta dell’ERASMUS può in parte sopperire agli scarsi finanziamenti del MIUR nei confronti dell’AFAM.

La Professoressa Maria Luisa Meneghetti, membro del direttivo ANVUR, ha invece affermato la necessità di una corretta valutazione delle istituzioni AFAM come mezzo per una loro completa integrazione nel sistema dell’alta formazione. Leonella Grasso Caprioli ha invece comunicato che nel 2020 l’Italia sarà la sede dell’Interministeriale del processo di Bologna, dove si porrà particolare attenzione ai temi della ricerca, della terza missione e dell’internazionalizzazione; sarà un’occasione importante anche per le istituzioni della formazione superiore artistico-musicale.

Nel pomeriggio altro tema scottante è stato la sorte degli Istituti Superiori di Studi Musicali non statali che versano in condizioni economiche difficili e aspettano da ormai 18 anni il processo di statizzazione previsto dalla legge 508 del 1999. Cinzia Piccini, direttore dell’ISSM di Pavia, ha evidenziato come l’emendamento su tali istituti incluso nella ‘manovrina’ (e ultimamente approvato da camera e senato) presenti degli elementi di ambiguità come l’affermazione che solo ‘una parte’ degli istituti sarà statizzata (senza indicare di quale parte si tratti). Tali dubbi sono stati condivisi dal deputato Raffaello Vignali in collegamento da Roma. Altri due temi toccati sono stati le modalità del reclutamento dei docenti (Marco Zuccarini, direttore del Conservatorio di Torino) e le docenze di ‘seconda fascia’ (Rossella Vendemia).

L’ultima sessione ha visto interventi più specifici sull’interazione tra fondazioni lirico-sinfoniche e istituzioni AFAM (Francesco Bellotto), sulla didattica (Beatrice Campodonico, Emilio Piffaretti, Maria Elena Bovio, Alberto Odone) e sul ruolo delle biblioteche musicali (Marcoemilio Camera).

Preme sottolineare che si è trattato del primo incontro nazionale sull’AFAM ad aver visto come protagonisti i docenti di queste istituzioni, e la prima occasione pubblica in cui si è assunto quale punto di vista privilegiato quello di coloro che quotidianamente sono realmente impegnati nella formazione superiore artistico-musicale del nostro paese.

La Conferenza dei Docenti dei Conservatori di Musica Italiani ringrazia nuovamente il Conservatorio di Milano e il suo direttore Cristina Frosini per l’ospitalità, i colleghi Daniela Macchione e Fabrizio Dorsi per il ruolo di moderatori e tutti i colleghi presenti all’incontro.

Auspichiamo, e ci impegneremo a stimolare, nuove iniziative in questa direzione affinché possa crearsi una vera comunità della docenza AFAM aperta al dialogo con studenti, politici, società civile e tutte le istituzioni della formazione, sia essa di base o superiore.